I want to do bad things with you


Adoro il fantastico.
Mitologia, horror, fantascienza, fantasy o fiaba che sia. E lo odio.
Il più delle volte lo odio, a dir la verità.
Scrivere letteratura fantastica sembra facile.
Scrivere letteratura fantastica significativa è difficile. Molto difficile.

Ci sono due strade percorribili per addentrarsi nel fantastico, all’apparenza non troppo accidentate. La prima, forse considerata la più semplice, è quella di inventarsi tutto di sana pianta. I personaggi, le creature, il mondo in cui vivono, le loro credenze e via dicendo. Peccato che scivolare in banalità sia facilissimo. Tralasciando per un attimo il problema del contenuto.

La seconda via è quella di utilizzare parte del ricchissimo materiale fantastico che si è accumulato dalla presa di coscienza dell’uomo sino ai giorni nostri. In realtà anche la prima via non può sottrarsi a questo, ed esistono infiniti sentieri percorribili che intersecano le due strade, ma sto semplificando. Come secondo caso intendo l’uso esplicito di archetipi ormai patrimonio dell’inconscio collettivo. Anche qui le trappole sono nascoste a ogni passo. Usare i modelli come vuole la tradizione raramente porta a risultati eccelsi. Stravolgerli troppo, d’altro canto, potrebbe infastidire chi conosce e in qualche modo vuole vedere rispettato il canone secolare (se non più vecchio). Non dimenticando che i modelli si sono sviluppati in un certo modo per assecondare i loro significati.

In entrambi i casi, il fantastico dovrebbe avere un contenuto. Dovrebbe parlare di noi e del nostro mondo fingendo di parlare d’altro. In realtà, anche se non era nelle intenzioni dell’autore, una storia esprime sempre una visione del mondo. E spesso le visioni che escono dalle pagine del fantastico sono discutibili, quando non aberranti.

Ma veniamo a True Blood.

Alan Ball ha scritto una delle mie serie tv preferite di sempre, Six feet under. Una serie che parla di persone molte complesse, spingendoci ogni puntata ad aprire di più la mente, cercando di comprendere come ognuno di noi sia stratificato, come ogni decisione abbia alla spalle emozioni e pensieri unici.
Mi aspettavo molto da True Blood e, dopo le prime puntate un po’ noiosette, in cui non capivo bene la direzione presa, posso dirmi molto soddisfatto.

Ball (non so quanto debba a Charlaine Harris, in questo caso) e il team di scrittori usano il fantastico in maniera perfetta. Usano archetipi, carichi di tutto il loro significato simbolico, rispettando la tradizione ma nel contempo inserendo elementi nuovi, originali. Creano un mondo interessante e vivo che rispecchia perfettamente il nostro.
I vampiri sono simboli (del sesso e della morte, ovviamente) ma sono anche esseri viventi distinti, unici. L’atteggiamento nei loro confronti rispecchia l’atteggiamento di fronte a qualsiasi minoranza. Esistono vampiri incredibilmente malvagi. Altri meno. Esattamente come gli uomini. E chiunque, nell’universo di True Blood, si proclamasse cacciatore di vampiri e andasse in giro a sterminarli, apparirebbe per quello che è: un esaltato, un fondamentalista, un nazista.

Alcuni scrittori contemporanei tendono ad appiattire la figura del mostro, comprensibilmente stanchi del “diverso ma in realtà buono”, a volte stucchevole, ma passare a diverso quindi carne da macello mi sembra eccessivo.
Non mi interessa una storia di un uomo armato che uccide mostri a valanghe. Mi interessano storie di persone. E in True Blood i vampiri sono individui. Così come i mutaforma. O le streghe. O tutto quello che esiste là fuori (come direbbe Fox Mulder) e dentro di noi.
Individui con pensieri e motivazioni uniche, e nello stesso tempo archetipi carichi di significati più o meno inconsci. Come Six Feet Under, True Blood è un continuo esercizio di apertura mentale. Ogni volta la posta viene alzata e con essa la nostra capacità di comprensione.
I vampiri esistono. E non sono tutti cattivi.
Ma anche i mutaforma esistono, come molte altre cose.
Nessuna di esse è il male, da eliminare a prescindere. Sono solo individui da conoscere.
E questo è il bello del mondo.